Leo Strozzieri
Il conferimento del prestigioso Premio Internazionale Limen Arte al maestro Francesco Guerrieri per il 2009 la cui cerimonia si tiene presso lo splendido scenario del Complesso Monumentale Valentianum a Vibo Valenzia, ci offre l’opportunità di presentare ai lettori della nostra rivista questo personaggio che insieme alla compagna di vita Lia Drei è stato l’apologeta della geometria, ovviamente nell’ambito d’una linea di ricerca molto praticata negli anni sessanta che andava sotto il nome di arte programmata.
Calabrese d’origine ( è nato a Borgia in provincia di Catanzaro) risiede a Roma dalla fine degli anni ’30. La sua iniziale ricerca si svolge nell’ambito della poetica informale, che sappiamo essere stato un indirizzo linguistico per così dire orgiastico tendenzialmente portato alla dissoluzione dei valori estetici e formali con un forte accento sull’aspetto materico del dipinto. Potremmo ben dire che esso costituisce una sorta di Pars destruens rispetto ad un’arte di impianto umanistico, tant’è che nei primi anni sessanta si avvertì l’esigenza da parte di alcuni artisti di proporre una ricostruzione del linguaggio e quindi un ritorno alla razionalità, alla logica.
È infatti del 1962 la costituzione del Gruppo Uno i cui fondatori (Pace, Santoro, Frascà, Biggi, Uncini) intesero appunto riproporre questo mitico filo di Arianna; difatti il numero uno viene dopo lo zero, dopo l’azzeramento informale. Parallelamente a questa esperienza alla quale diede il contributo critico Giulio Carlo Argan che storicizzo il gruppo nella sua nota “Storia dell’arte moderna”, altri artisti si cimentavano nell’arte programmata, nell’arte cinetica, per la quale determinante era la geometria.
Le suggestive composizioni strutturali e gestaltiche di Guerrieri denominate “Continuità” costituiscono tra l’altro un’interazione tra ricerca scientifica e tecnica pittorica.
Nel 1963 fonda il Gruppo ’63 con Di Luciano, Drei, Pizzo che in seguito a divergenze metodologiche trasformerà in Binomio Sperimentale p. = puro con Lia Drei anche lei straordinaria artista operante nell’ambito dell’astrattismo geometrico recentemente scomparsa e alla quale ancora molto dovrà la critica italiana. Alla fine degli anni ’60 si registrano sue strutture tridimensionali variopinte che pongono in essere il suo interesse per la componente spaziale. Entrate ormai di diritto nella storia dell’arte del ’900 una suite di opere eseguite con il colore giallo in duplice tonalità con segni spesso sospinti ai margini della tela a significare l’irradiazione della luce.
Ecco, la luce, a mio avviso, è l’elemento portante del geometrismo dinamico, cinetico del grande maestro. Una luce che ovviamente, trattandosi di pittura aniconica, non può provenire da una fonte esterna, naturalistica diremmo, ma è frutto d’una padronanza del colore e dei segni che nell’alternarsi creano un respiro dello spazio su cui sono strutturati. Ne esce rafforzata questa sua apologia della luce a causa di due fattori, ovvero da un lato la tradizione culturale tipicamente mediterranea a cui si dovrà riconoscere la grande sensibilità per la luce appunto, e dall’altro l’essenza stessa della geometria. Senza ricorrere alle teorie illuministiche di cui sono note le indagini sui lumi della ragione, certamente ogni viaggio entro i teoremi geometrici non sono altro che proiezioni delle architetture logiche della ragione.
Il conferimento del prestigioso Premio Internazionale Limen Arte al maestro Francesco Guerrieri per il 2009 la cui cerimonia si tiene presso lo splendido scenario del Complesso Monumentale Valentianum a Vibo Valenzia, ci offre l’opportunità di presentare ai lettori della nostra rivista questo personaggio che insieme alla compagna di vita Lia Drei è stato l’apologeta della geometria, ovviamente nell’ambito d’una linea di ricerca molto praticata negli anni sessanta che andava sotto il nome di arte programmata.
Calabrese d’origine ( è nato a Borgia in provincia di Catanzaro) risiede a Roma dalla fine degli anni ’30. La sua iniziale ricerca si svolge nell’ambito della poetica informale, che sappiamo essere stato un indirizzo linguistico per così dire orgiastico tendenzialmente portato alla dissoluzione dei valori estetici e formali con un forte accento sull’aspetto materico del dipinto. Potremmo ben dire che esso costituisce una sorta di Pars destruens rispetto ad un’arte di impianto umanistico, tant’è che nei primi anni sessanta si avvertì l’esigenza da parte di alcuni artisti di proporre una ricostruzione del linguaggio e quindi un ritorno alla razionalità, alla logica.
È infatti del 1962 la costituzione del Gruppo Uno i cui fondatori (Pace, Santoro, Frascà, Biggi, Uncini) intesero appunto riproporre questo mitico filo di Arianna; difatti il numero uno viene dopo lo zero, dopo l’azzeramento informale. Parallelamente a questa esperienza alla quale diede il contributo critico Giulio Carlo Argan che storicizzo il gruppo nella sua nota “Storia dell’arte moderna”, altri artisti si cimentavano nell’arte programmata, nell’arte cinetica, per la quale determinante era la geometria.
Le suggestive composizioni strutturali e gestaltiche di Guerrieri denominate “Continuità” costituiscono tra l’altro un’interazione tra ricerca scientifica e tecnica pittorica.
Nel 1963 fonda il Gruppo ’63 con Di Luciano, Drei, Pizzo che in seguito a divergenze metodologiche trasformerà in Binomio Sperimentale p. = puro con Lia Drei anche lei straordinaria artista operante nell’ambito dell’astrattismo geometrico recentemente scomparsa e alla quale ancora molto dovrà la critica italiana. Alla fine degli anni ’60 si registrano sue strutture tridimensionali variopinte che pongono in essere il suo interesse per la componente spaziale. Entrate ormai di diritto nella storia dell’arte del ’900 una suite di opere eseguite con il colore giallo in duplice tonalità con segni spesso sospinti ai margini della tela a significare l’irradiazione della luce.
Ecco, la luce, a mio avviso, è l’elemento portante del geometrismo dinamico, cinetico del grande maestro. Una luce che ovviamente, trattandosi di pittura aniconica, non può provenire da una fonte esterna, naturalistica diremmo, ma è frutto d’una padronanza del colore e dei segni che nell’alternarsi creano un respiro dello spazio su cui sono strutturati. Ne esce rafforzata questa sua apologia della luce a causa di due fattori, ovvero da un lato la tradizione culturale tipicamente mediterranea a cui si dovrà riconoscere la grande sensibilità per la luce appunto, e dall’altro l’essenza stessa della geometria. Senza ricorrere alle teorie illuministiche di cui sono note le indagini sui lumi della ragione, certamente ogni viaggio entro i teoremi geometrici non sono altro che proiezioni delle architetture logiche della ragione.
LEO STROZZIERI, Rivista on line Amalarte.com, 4/08/2010
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