Srutturalismo
Filiberto Menna

“Nell’ambito delle nuove ricerche sperimentali la “dichiarazione di poetica” di Lia Drei e Francesco Guerrieri mi sembra una delle più lucide e stimolanti innanzitutto per il rigore con cui gli autori si sono mantenuti nei limiti del problema affrontato, senza sconfinamenti pericolosi e spesso gratuiti sul terreno della speculazione pseudoscientifica e pseudofilosofica; e poi perché essa offre una possibile chiave interpretativa a molti fatti artistici d’oggi anche al di fuori del settore specifico delle tendenze sperimentali. L’accelerazione dei processi dinamici che regolano la nostra vita psichica e la conseguente necessità, per l’uomo d’oggi, di porsi di fron¬te alla realtà, non come ad una forma statica, ma come ad un complesso dinamico di relazioni, sono state opportunamente sottolineate dagli autori e giustamente interpretate come presupposti fon¬damentali non solo dell’arte “cinetica” e sperimentale in genere, ma di ogni forma d’arte che non voglia voltare le spalle alla realtà del mondo moderno…”
«Questo nuovo rapporto con il reale rappresenta infatti la piattaforma comune da cui muovono tutte le tendenze vitali dell’arte più recente, anche se poi ognuna di esse segue strade diverse o addirittura opposte, come ad esempio l’“arte programmata” e il “pop art”: una piattaforma in cui avviene (o dovrebbe avvenire) l’incontro tra la soggettività dell’artista e l’oggettività del mondo esterno. Naturalmente questo incontro può assumere aspetti diversi e dar luogo a una diversa fenomenologia di forme, ma è un incontro che l’artista non può non aver avuto e soprattutto accettato e sofferto, in tutta la sua problematicità e contraddittorietà, anche quando intenda costituire - come è il caso di Lia Drei e di Guerrieri - “un linguaggio veramente intersoggettivo”, la cui efficacia sia sperimentalmente realizzata e verificata. Ora il punto cruciale della questione si presenta proprio in questo momento, quando cioè l’artista si propone di volgere quella relazione originaria - il suo rapporto con il mondo - in un discorso artistico che intenda espungere da sé proprio la problematicità e la contraddittorietà insite in quel rapporto e offrire al fruitore, non tanto un equivalente di quella situazione (un equivalente su un piano diverso, ovviamente e cioè sul piano analogico del discorso artistico), come si verifica ad esempio nel “pop art”, quanto delle norme o, meglio, delle ipotesi di comportamento in cui il peso e la contraddittorietà del reale siano non elusi, ma risolti...»

FILIBERTO MENNA, da “Sperimentale p. - Quaderno 1964”, Ed. II Bilico, Roma, aprile 1964

 
Rosario Assunto

(…) I due romanzi per i quali Butler e Hesse si raccomandano, qui e ora alla nostra attenzione (rispettivamente Erewhon e Das Glasperlenspiel) non interessano soltanto i letterati, ma anche gli artisti di oggi – non solo in quanto, al pari dei letterati sono uomini come tutti gli altri, e uomini che, volere o no, debbono fare i conti con certe questioni scottanti dell’età in cui viviamo, ma proprio in quanto artisti (e quando dico artisti dico, qui e ora, pittori, scultori, incisori, grafici) che si propongono di dare una risposta, risposta dell’arte e nell’arte, alle domande di tutti gli uomini: i quali dall’arte, da ogni arte, hanno il diritto di pretendere qualcosa in più di quello che chiediamo alla tazza di caffè, al bicchierino di liquore, alla sigaretta fumata dopo il pasto di mezzogiorno o quello della sera.
Questo qualcosa in più, Butler ce lo ha dato con Erewhon, Hesse  col Giuoco delle perle di vetro (…)
Forse le citazioni da Hesse non piaceranno molto agli artisti (ed amici)  dei quali mi accingo a parlare, data la fortissima accentuazione mistico metafisica che in Hesse è presente, anzi fondamentale; mentre i testi e le correnti ai quali essi amano riferirsi sono tra i più antimetafisici (ed antimistici, almeno in apparenza), della cultura contemporanea – dal positivismo logico viennese alla filosofia del comportamento, all’operazionismo. Non sarò certo io, qui ed ora, a impiantare con loro una discussione intorno agli inevitabili epiloghi mistici di ogni rigoroso e coerente razionalismo; discussione nella quale potrei avere dalla mia parte Spinoza e Wittgenstein, Robert Musil e Hermann Broch. Per il momento, sono argomenti che vanno lasciati da parte, per tornare a leggere la descrizione che Hesse ci da del giuoco delle perle di vetro; non senza tenere sott’occhio i “rapporti alternati” di Lucia di Luciano, e le “pregnanze percettive di Giovanni Pizzo” (magari con chiarimenti illustrativi che essi stessi ci hanno forniti parlando, rispettivamente, di valori quantici che “tipizzano le immagini”, di “insiemi segnici costituiti dalle stesse tipizzazioni di immagini, ma aggregate dall’analisi combinatoria in strutture  sempre diversificate”) oppure le Strutture significanti di Lia Drei e Francesco Guerrieri – nonché le opere degli artisti più anziani e da un pezzo autorevoli, che sono stati presenti nelle mostre tenutesi in questi ultimi anni in Roma ed in altre città d’Italia (pensiono a Cannilla) (…)
Guardiamo queste opere, dunque, e leggiamo qualche pagina di Hermann Hesse: “Il Giuoco fu sempre strettamente connesso con la musica e si svolgeva per lo più secondo norme musicali matematiche. Si fissavano, si eseguivano e variavano un tema, due temi, tre temi, ai quali toccava all’incirca la sorte del tema di una fuga o di uno dei tempi di un concerto (…) Mentre il principiante era, poniamo, capace di stabilire, mediante i segni del giuoco, un ponte tra una musica classica e la formula di una legge fisica, l’esperto e il maestro portavano il giuoco liberamente dal tema iniziale fino a combinazioni illimitate…”.

ROSARIO ASSUNTO, Partenza da Erowhon, arrivo a Waldzell (con fermata intermedia a Nowhere) ossia: arte come ironia della scienza, Rassegna della Istruzione Artistica, gennaio marzo  an. I, n. 1, Isituto Statale d’Arte, Urbino, 1966

 
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